L’Italia, un Paese di sonnambuli

“Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, è l’illusione della conoscenza.” (Stephen Hawking)

La società italiana, raccontata dall’ultimo rapporto del Censis, sembra affetta da una sorta di sonnambulismo di fronte ai profondi cambiamenti economici e sociali che si profilano all’orizzonte. Nonostante l’impatto prevedibile di questi fenomeni, essi sono ampiamente ignorati o sottovalutati.

Questa cecità collettiva potrebbe avere conseguenze devastanti per la stabilità del sistema, riflettendo una colpevole mancanza di risolutezza.

Entro il 2050, l’Italia perderà complessivamente 4,5 milioni di residenti, un calo demografico paragonabile alla scomparsa di Roma e Milano insieme. Questa flessione sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni e di un aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre. In particolare, la fascia dei giovani sotto i 35 anni diminuirà di 3,7 milioni. La scarsità di lavoratori sarà evidente, con quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno, influenzando negativamente il sistema produttivo e la capacità del Paese di generare valore.

Il sonnambulismo italiano non è solo responsabilità delle classi dirigenti, ma pervade anche la maggioranza silenziosa dei cittadini. Il 56% degli italiani (e il 61,4% tra i giovani) ritiene di avere poco peso nella società, e il 60,8% (65,3% tra i giovani) prova una profonda insicurezza a causa dei rischi inattesi. La globalizzazione ha deluso il 69,3% della popolazione, che la vede come portatrice di più danni che benefici, mentre l’80,1% (84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia in declino irreversibile.

In questa atmosfera, la società italiana è immersa in un mercato dell’emotività, dove le argomentazioni razionali sono sovvertite da continue scosse emozionali.

L’84% degli italiani è impaurito dal cambiamento climatico, il 73,4% teme una grave crisi economica e sociale imminente, e il 73% prevede un aumento dei flussi migratori che l’Italia non sarà in grado di gestire. Inoltre, il 53,1% teme il collasso finanziario dello Stato a causa del debito pubblico, e il ritorno della guerra ha suscitato nuovi timori, con il 59,9% degli italiani preoccupati per un possibile conflitto mondiale.

Le preoccupazioni riguardano anche il futuro del welfare: il 73,8% teme che non ci saranno abbastanza lavoratori per sostenere le pensioni, e il 69,2% pensa che la sanità pubblica non sarà in grado di garantire cure adeguate. Questi scenari, anziché mobilitare risorse per trovare soluzioni, paralizzano la società.

L’economia italiana sta vivendo un periodo di stagnazione. Nel secondo trimestre dell’anno, il PIL ha segnato un calo dello 0,4%, seguito da una stagnazione nel terzo trimestre. Gli investimenti fissi lordi sono diminuiti dell’1,7%, con un calo del 3,3% nel settore delle costruzioni. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha raggiunto solo il 50% di completamento rispetto al 74% previsto.

Il mercato del lavoro ha visto un’inversione di tendenza con un aumento degli occupati. Tra il 2021 e il 2022, gli occupati sono cresciuti del 2,4%, e nei primi sei mesi del 2023, l’incremento è stato del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, l’Italia rimane all’ultimo posto nell’Unione Europea per tasso di occupazione, con il 60,1%, distante dal 69,8% medio europeo. Se l’Italia raggiungesse questo livello, ci sarebbero circa 3,6 milioni di occupati in più.

La popolazione anziana è in crescita, rappresentando oggi il 24,1% della popolazione totale e raggiungendo il 34,5% entro il 2050, con un aumento di 4,6 milioni di anziani. Il numero medio di componenti per famiglia scenderà da 2,31 nel 2023 a 2,15 nel 2040, con una diminuzione delle coppie con figli e un aumento delle famiglie unipersonali, che rappresenteranno il 37% del totale. Nel 2040, quasi il 60% delle famiglie unipersonali sarà costituito da anziani.

Questo quadro evidenzia la necessità di affrontare urgentemente le sfide demografiche ed economiche per evitare un futuro segnato dal declino e dalla fragilità strutturale.

Purtroppo, sempre più spesso, ognuno punta a pensare per sé: “Io la mia vita me la sono fatta, gli altri si faranno la loro”. C’era un tempo in cui vi era un’alternanza tra una generazione ricca ed una povera, oggi purtroppo, sempre più spesso, si assiste ad un ricambio generazionale che ha eroso quella ricchezza che con tanta fatica i nostri nonni hanno accumulato alla luce di un costo della vita sempre più alto, di un benessere insostenibile, di un’età media più lunga e di tempi di ingresso nel mondo del lavoro più dilatati.

Tutti questi elementi devono far riflettere sull’importanza, da subito, di una programmazione ed una corretta gestione delle finanze, che vada a tutelare un futuro che, così come ci è stato raccontato, è incerto e sembra destinato al declino senza inversioni di rotta. Facciamolo per noi stessi, per i nostri figli e per le generazioni che verranno.

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