La ricchezza non si contempla

Nonostante gli italiani siano noti per essere un popolo di grandi risparmiatori, la ricchezza media pro capite in Italia è significativamente inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti. Un dato che, a prima vista, potrebbe sembrare paradossale, ma che riflette una serie di dinamiche economiche, culturali e sociali che meritano di essere analizzate.

Secondo i più recenti dati del Global Wealth Report 2024 di UBS, la ricchezza media per adulto negli Stati Uniti si attesta a 564.862 dollari, mentre quella mediana si ferma a 112.157 dollari. In Italia, la ricchezza media per adulto è di 295.020 dollari, mentre quella mediana è leggermente più alta, pari a 113.754 dollari. Questi numeri ci raccontano due storie differenti: sebbene la mediana in Italia si avvicini a quella americana, la ricchezza media negli Stati Uniti è quasi il doppio di quella italiana. La differenza tra ricchezza media e mediana, infatti, riflette una maggiore concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi negli Stati Uniti, ma anche un’accumulazione di ricchezza più efficace da parte della popolazione generale.

Cosa sta dietro a questa disparità, considerando che gli italiani hanno una tradizione di risparmio consolidata nel tempo?

 

La risposta risiede in diversi fattori legati ai comportamenti economici e alle scelte di investimento che caratterizzano i due paesi.

 

Innanzitutto, c’è una differenza sostanziale nei modelli di investimento. Negli Stati Uniti, la ricchezza viene accumulata principalmente attraverso gli investimenti in mercati finanziari come azioni, obbligazioni e fondi comuni. Questi strumenti, che hanno storicamente garantito rendimenti elevati, sono il fulcro della strategia di investimento della classe media americana. Gli americani, infatti, investono una parte significativa del loro reddito in piani pensionistici e in azioni, rendendo la crescita del loro capitale non solo possibile, ma anche favorita dalla solidità e dalla crescita dei mercati finanziari.

 

In Italia, la situazione è diversa. Sebbene esista una tradizione di risparmio molto radicata, la maggior parte degli italiani preferisce tenere i propri risparmi su conti correnti o investire in beni immobili. La propensione al risparmio in contante, se da un lato offre sicurezza e stabilità, dall’altro limita la possibilità di ottenere rendimenti più elevati. In molti casi, l’investimento immobiliare – una scelta molto popolare in Italia – non permette di generare rendimenti paragonabili a quelli dei mercati finanziari. La casa viene spesso vista come un bene da possedere, piuttosto che come un asset da valorizzare o da sfruttare.

 

Inoltre, gli Stati Uniti hanno un mercato del lavoro che, pur con le sue disuguaglianze, offre maggiori opportunità di reddito rispetto all’Italia. I salari negli Stati Uniti sono mediamente più alti, il che consente ai cittadini americani non solo di risparmiare, ma anche di investire e far crescere il proprio capitale. Questo è il frutto di un sistema economico che premia l’innovazione e la produttività, creando maggiori possibilità di accumulo di ricchezza per le famiglie americane.

 

Al contrario, l’Italia si trova a fronteggiare una crescita economica rallentata da decenni e un mercato del lavoro che spesso non premia in modo adeguato l’impegno e la produttività. In questo contesto, anche chi riesce a risparmiare fatica a far fruttare il proprio denaro, non solo per la mancanza di cultura finanziaria, ma anche per la scarsità di strumenti efficaci a disposizione.

 

Una parte significativa di questa disparità è anche legata alla diversità della cultura finanziaria tra i due paesi. Negli Stati Uniti, fin da giovani si promuove l’idea di investire per il futuro, attraverso strumenti finanziari che permettono di sfruttare il potere dell’interesse composto e delle crescite dei mercati. Questo approccio è supportato da una solida infrastruttura di educazione finanziaria, che incoraggia i cittadini a diventare consapevoli delle scelte economiche che influenzano il loro futuro. In Italia, invece, nonostante un buon livello di educazione scolastica e universitaria, l’educazione finanziaria pratica è ancora insufficiente. La maggior parte degli italiani non è abituata a gestire attivamente i propri investimenti, spesso affidandosi a strumenti più tradizionali e a basso rendimento, come i conti correnti o il risparmio postale.

 

Infine, una differenza significativa tra i due paesi riguarda i sistemi previdenziali. Negli Stati Uniti, la pensione è in gran parte costruita privatamente attraverso piani individuali di risparmio e investimenti. Ciò porta gli americani a sviluppare un’attenzione costante al proprio patrimonio e alle modalità con cui gestirlo nel lungo periodo. In Italia, invece, il sistema previdenziale pubblico gioca un ruolo centrale, e spesso la fiducia nel futuro sistema pensionistico disincentiva un comportamento proattivo verso la costruzione di un capitale personale.

 

A confermare e rafforzare queste considerazioni arriva un altro dato eloquente, illustrato nell’immagine diffusa da Visual Capitalist, che mostra il tasso di partecipazione al mercato azionario nei principali paesi del mondo.

 

 

Negli Stati Uniti, il 55% della popolazione detiene azioni o investe nei mercati finanziari, sia direttamente che tramite fondi pensione, assicurazioni o altri strumenti. Si tratta di oltre 185 milioni di persone. Un livello altissimo, che rappresenta una vera cultura dell’investimento diffusa e radicata nella società americana.

 

In Italia, il dato è decisamente più basso: solo il 7% della popolazione partecipa ai mercati finanziari, circa 4,1 milioni di persone. Questo significa che oltre 9 italiani su 10 non hanno alcuna esposizione diretta o indiretta ai mercati azionari. L’Italia è quindi in fondo alla classifica, accanto a paesi come Brasile, Cina e India, che pur avendo mercati emergenti e una popolazione numerosa, non sono certo paragonabili a una nazione del G7 per sviluppo economico e struttura sociale.

 

Questi numeri rafforzano ulteriormente una verità già emersa: il problema non è la mancanza di risparmio, ma il suo impiego inefficiente.

 

La scarsa partecipazione al mercato è il sintomo più evidente di una cultura finanziaria che resta ancorata al passato, timorosa del rischio, poco informata, e spesso priva di una guida.

 

Tenere i soldi fermi sui conti può sembrare prudente, ma nel lungo periodo significa rinunciare a creare valore. E quando si rinuncia all’accumulo consapevole, si rinuncia anche alla possibilità di migliorare il proprio benessere futuro.

 

In definitiva, ciò che emerge con chiarezza da questo confronto è che la ricchezza si costruisce con consapevolezza. Non basta risparmiare, ma è necessario far fruttare quel risparmio in modo strategico, diversificando gli investimenti e approfittando degli strumenti che i mercati offrono. Questo non vuol dire correre rischi incontrollati, ma piuttosto essere consapevoli delle opportunità che la finanza moderna offre.

 

La buona notizia è che non è mai troppo tardi per cominciare a costruire un piano finanziario solido. Investire in conoscenza, nel proprio futuro e nella consulenza finanziaria, è il primo passo verso un patrimonio che può crescere e prosperare nel tempo. La ricchezza non è solo una questione di quanto si guadagna, ma di come si gestisce ciò che si ha a disposizione.

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