I bias cognitivi

“Ci concentriamo troppo su quello che conosciamo e ignoriamo quello che non conosciamo, affidandoci troppo alle nostre convinzioni.” (Daniel Kahneman)

 

Questa puntata è dedicata alla storia di un grande psicologo contemporaneo, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2002, recentemente scomparso all’età di 90 anni.

Daniel Kahneman è stato una figura eminente nel campo della psicologia, la cui opera ha avuto un impatto significativo anche nel mondo dell’economia.

Nato a Tel Aviv nel 1934, durante il periodo del mandato britannico in Palestina, Kahneman ha speso gran parte della sua carriera accademica esplorando i meccanismi della mente umana, concentrandosi in particolare su come le persone percepiscono e decidono in condizioni di incertezza e rischio.

La sua ricerca ha portato a profondi cambiamenti nel modo in cui economisti, professionisti finanziari e policymaker considerano il comportamento umano.

Nel 2002, Kahneman ha ricevuto il Premio Nobel per l’Economia, nonostante la sua formazione primaria in psicologia, per il suo lavoro pionieristico sulla teoria delle prospettive, sviluppato insieme al collega Amos Tversky.

 

Questa teoria ha introdotto nuove intuizioni su come le persone valutano le probabilità e decidono in situazioni di rischio, sfidando l’idea tradizionale dell'”homo economicus”, che presume che gli individui siano sempre razionali e ben informati quando prendono decisioni economiche.

 

Le convinzioni di Kahneman in ambito finanziario erano radicate nella sua comprensione del comportamento umano, caratterizzata da una serie di euristiche e bias cognitivi:

 

L’eccesso di fiducia

Tendiamo a sopravvalutare la nostra conoscenza o abilità, credendo di sapere più di quanto effettivamente sappiamo. Questo può portarci a prendere decisioni rischiose o malinformate. È facile pensare di sapere esattamente quando comprare o vendere azioni, ma la realtà è che il mercato è imprevedibile.

 

L’avversione alla perdita

Siamo più sensibili alle perdite che ai guadagni. La paura di perdere ci spinge spesso a evitare rischi anche quando una valutazione oggettiva suggerirebbe che il rischio vale la possibile ricompensa. A nessuno piace perdere soldi, ovviamente, ma questa paura può impedirci di fare mosse che, a lungo termine, potrebbero essere vantaggiose.

 

L’ancoraggio

Tendiamo a dare troppo peso alla prima informazione che riceviamo su un argomento (l’ancora) e ad utilizzarla come punto di riferimento per tutte le decisioni successive, anche se non è particolarmente rilevante o accurata. Spesso ci attacchiamo ad esempio ad un certo numero, come il prezzo a cui abbiamo acquistato un’azione, e lasciamo che questo influenzi le nostre decisioni future, anche se non ha senso.

 

L’effetto dotazione

Valutiamo di più ciò che possediamo semplicemente perché lo possediamo, indipendentemente dal suo valore oggettivo. Questo può farci resistere a scambiare o vendere oggetti, anche quando sarebbe nel nostro interesse farlo. Tendiamo quindi a tenere certi investimenti perché sono nostri, anche quando sarebbe saggio venderli.

 

La rappresentatività

Giudichiamo la probabilità di un evento basandoci su quanto esso sembri rappresentativo o tipico, piuttosto che su dati statistici reali. Ciò può portarci a sottovalutare eventi rari e a sovrastimare quelli comuni. Reagiamo troppo rapidamente alle ultime notizie, magari facendoci prende dal ‘panico’ e perdendo di vista la strategia a lungo termine che era alla base del nostro piano di investimento.

 

La disponibilità

La facilità con cui un’informazione ci viene in mente influisce su quanto riteniamo che tale informazione sia comune o probabile. Se possiamo facilmente ricordare un evento, tendiamo a pensare che sia più frequente di quanto non sia in realtà, influenzando le nostre decisioni di investimento in modo non razionale.

Questi bias possono portare gli investitori a prendere decisioni che non sono nel loro miglior interesse finanziario a lungo termine, come tenere troppo a lungo azioni perdenti sperando in una ripresa o vendere azioni vincenti troppo presto per realizzare un profitto.

Kahneman ha anche esplorato il concetto di “economia del benessere”, suggerendo che la ricchezza e la felicità non sono direttamente proporzionali oltre un certo punto.

Ha sostenuto che, mentre l’aumento del reddito può migliorare significativamente la qualità della vita fino a un certo livello di reddito, oltre quel punto gli incrementi di reddito hanno un impatto marginale sulla felicità.

Questa intuizione ha implicazioni sulla pianificazione finanziaria personale e sulle politiche economiche orientate al miglioramento del benessere generale della popolazione.

Inoltre, Kahneman ha messo in discussione l’efficacia dell’analisi tecnica e degli approcci speculativi al mercato azionario, evidenziando come gli umori e le percezioni di massa possano influenzare il mercato in modi imprevedibili e spesso irrazionali. Ha promosso l’idea che, data la difficoltà di battere il mercato, per la maggior parte degli investitori una strategia di investimento a lungo termine basata su un portafoglio diversificato sia spesso più vantaggiosa.

Il lavoro fatto da Kahneman, quindi, ci ricorda che nel mondo finanziario la razionalità è spesso intrecciata con le emozioni, i pregiudizi e le percezioni soggettive.

Le sue ricerche ci hanno fornito strumenti preziosi per comprendere e migliorare le decisioni finanziarie, enfatizzando l’importanza di riconoscere e mitigare i bias cognitivi per promuovere scelte finanziarie più informate e sostenibili.

Il ruolo del consulente finanziario, in tutto questo, si rivela importante, offrendo al proprio cliente una bussola per navigare tra le insidie emotive e condurlo verso una gestione del risparmio più consapevole e mirata avendo sempre il focus sull’obiettivo iniziale e non facendosi condizionare dagli eventi che, nel durante, posso portare il proprio cliente a cedere alla propria emotività a discapito della ragione.

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