Negli ultimi anni l’andamento delle famiglie e dei divorzi in Italia disegna un quadro in evoluzione: secondo i dati più recenti della ISTAT, nel 2023 le sentenze di divorzio sono state 79.875, con un calo del 3,3% rispetto al 2022. Nei primi otto mesi del 2024, secondo le rilevazioni provvisorie, il calo dei matrimoni prosegue, e analoghe tendenze si riflettono in una riduzione degli scioglimenti matrimoniali.
Quando un matrimonio viene sciolto con divorzio, la legge prevede che l’ex coniuge, se ha diritto a un assegno divorzile (e non si è risposato), possa richiedere una quota del trattamento di fine rapporto (TFR) maturato dall’altro coniuge nei periodi in cui matrimonio e rapporto di lavoro coesistevano. Nello specifico, l’articolo rilevante è l’art. 12-bis della legge 898/1970, che delimita i requisiti per la spettanza della quota: la presenza dell’assegno divorzile, la cessazione definitiva del matrimonio (divorzio), e l’assenza di un nuovo matrimonio da parte del beneficiario.
La giurisprudenza, finora abbastanza consolidata, riconosce che la quota spettante corrisponde, in linea di principio, al 40 % del TFR maturato durante gli anni di matrimonio, calcolando la proporzione rispetto al complesso del rapporto di lavoro. L’importo è però dovuto solo quando il TFR viene effettivamente percepito dal lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro: il diritto sorge quindi “a valle”, non sul TFR teorico maturato.
Ma attenzione: una sentenza molto recente della Corte di Cassazione — ordinanza n. 20132/2025 (depositata il 18 luglio 2025) — ha aggiornato sensibilmente i confini di operabilità di questo diritto. In quel caso, l’ex coniuge aveva chiesto la quota sul TFR che l’altro coniuge aveva trasferito a un fondo di previdenza complementare prima dell’avvio della causa di divorzio. La Cassazione ha stabilito che, in tali ipotesi, il diritto alla quota non sussiste: il TFR conferito al fondo assume “natura previdenziale”, non più assimilabile all’indennità di fine rapporto da dividere.
Questa pronuncia è importante perché sancisce che il TFR destinato a un fondo pensione, se versato prima della domanda di divorzio, è escluso dalla divisione tra ex coniugi, pur in presenza dell’assegno divorzile. In altri termini, la previdenza complementare può proteggere il TFR da eventuali rivendicazioni in sede di divorzio.
Questo mutamento giurisprudenziale ha conseguenze pratiche rilevanti, dato che in Italia i divorzi restano quasi 80 mila all’anno, una parte significativa dei coniugi potrebbe trovarsi in una posizione vulnerabile rispetto al “tesoretto” rappresentato dal TFR, a meno che non abbiano optato per la previdenza complementare in tempo.
Ne emerge con forza l’importanza della previdenza complementare non solo come strumento previdenziale — pensione integrativa — ma come tutela patrimoniale a lungo termine, non più solo risparmio per la vecchiaia, ma uno scudo finanziario anche in contesti di crisi coniugale, soprattutto in situazioni di disparità economica o rischio di contenzioso.
Pur auspicando quindi che nessuno debba mai affrontare circostanze dolorose come una separazione o un divorzio, è impossibile ignorare quanto questi eventi possano incidere sul piano economico e patrimoniale. La previdenza complementare, troppo spesso percepita solo come uno strumento di vantaggio fiscale, rivela invece una doppia natura preziosa: da un lato consente di ottimizzare il carico fiscale lungo tutta la vita lavorativa, dall’altro si conferma oggi come una forma di tutela patrimoniale tra le più efficaci, capace di proteggere il frutto del proprio lavoro anche nei momenti di maggiore vulnerabilità personale.
Le recenti interpretazioni giurisprudenziali lo dimostrano chiaramente: decidere in tempo dove destinare il proprio TFR non significa solo pianificare la pensione, ma anche difendere i propri progetti e la propria stabilità economica da potenziali rischi futuri. Non è pertanto una scelta dettata dalla sfiducia, ma dalla consapevolezza, una consapevolezza che permette a ciascuno di costruire il proprio domani con serenità, proteggendo ciò che conta davvero: indipendenza, dignità economica e libertà di progettare il futuro senza timori.


