“Non c’è notte così lunga da impedire al sole di sorgere.” – Paulo Coelh
L’inverno è una stagione particolare. Arriva sempre allo stesso modo. Prima l’aria si fa più fredda, poi le giornate si accorciano, infine la natura rallenta. È un passaggio inevitabile, ciclico, a volte duro, ma indispensabile per preparare tutto ciò che verrà dopo. Quando parlo con i miei clienti di ciò che sta accadendo sui mercati in questo periodo, spesso mi torna in mente proprio questa immagine: l’inverno come metafora perfetta dei momenti di contrazione finanziaria.
Negli ultimi mesi gli investitori stanno vivendo una fase simile a quelle giornate grigie e fredde in cui ti sembra che il sole non voglia più tornare. I grafici hanno preso una piega discendente, alcuni settori hanno perso smalto, e la fiducia generale sembra essersi congelata. È in questi momenti che torna una parola che crea timore ed apprensione: il drawdown. Un termine tecnico, sì, ma che descrive una delle esperienze più umane che si possano vivere nel mondo degli investimenti, ovvero la distanza tra un massimo precedente e il successivo punto di minimo. In altre parole, quanto il portafoglio scende dal suo picco.
La storia dei mercati è un susseguirsi di estati rigogliose e inverni rigidi.
I drawdown, anche quelli importanti, non sono l’eccezione, sono la regola. Se guardiamo agli ultimi cento anni, i mercati azionari globali hanno attraversato decine di fasi di ribasso significative, alcune lievi, altre severe. La Grande Depressione, le crisi petrolifere, la bolla dot-com, la crisi finanziaria del 2008, la pandemia del 2020, ognuna di queste discese, nel momento in cui si verificava, sembrava un inverno interminabile. Eppure, puntualmente, è arrivata la primavera. Non sempre subito, non sempre nello stesso modo, ma con una regolarità impressionante.
Questo grafico ripercorre l’andamento dell’indice MSCI World dagli anni ’70 a oggi, suddiviso per decenni. Davanti a te ci sono barre di tre colori: scure, azzurre e grigie. Le prime rappresentano i ribassi oltre il 20%, le seconde quelli oltre il 10%, le terze le correzioni oltre il 5%.
Quello che colpisce non è la differenza tra un decennio e l’altro, ma la ripetitività. Negli anni ’70 compaiono due discese sopra il 20%, tre oltre il 10% e quattro oltre il 5%. Negli anni ’80 la storia si ripete con tempistiche simili. Negli anni ’90 e 2000 ritornano ancora quelle barre, come stagioni che non saltano mai un appuntamento. La decade 2010 ne registra meno profonde, ma sempre presenti. E nel 2020, anche qui, ritroviamo lo stesso schema: due cali oltre il 20%, tre oltre il 10% e sette oltre il 5%.
Guardare questo grafico è come osservare un calendario climatico, tutti i decenni hanno avuto il loro inverno, nessuno escluso, non una volta, ma più volte e, soprattutto, ogni volta l’inverno è stato seguito dalla primavera. Sempre.
È utile ricordare anche un’altra statistica, spesso sottovalutata: un ribasso superiore al 20% avviene in media ogni 5,4 anni; uno del 10% circa ogni tre anni; uno del 5% almeno una volta all’anno. È la prova numerica che nei mercati, il freddo arriva con una frequenza regolare, non è un imprevisto, è parte del ciclo.
Eppure, per l’investitore, l’inverno dei mercati non è mai un periodo facile, perché non basta sapere che il freddo passerà, bisogna resistere a ciò che succede “dentro”. Il bias più pericoloso in queste fasi è l’avversione alla perdita. È quel meccanismo psicologico che ci fa percepire un -10% come più doloroso di un +10% come gratificante. È lo stesso impulso che ci spinge a voler “fare qualcosa” quando il termometro degli investimenti scende, anche se spesso l’azione peggiore è proprio quella di muoversi senza una strategia.
Molti investitori, presi dalla paura, si lasciano coinvolgere dal cosiddetto “recency bias”, la tendenza a credere che il presente sia destinato a ripetersi all’infinito. Se oggi fa freddo, pensiamo che farà freddo per sempre. Se i mercati scendono, immaginiamo che continueranno a farlo senza sosta. È una distorsione potente, che spinge a vendere proprio nei momenti in cui bisognerebbe mantenere sangue freddo.
In realtà, l’inverno finanziario porta con sé anche un’occasione, quella di misurare la propria tolleranza al rischio, di verificare se il portafoglio è davvero costruito sulla base dei propri obiettivi e, soprattutto, di ricordarsi che l’investimento è un percorso di lungo termine, non una passeggiata di stagione. Un conto è osservare un grafico in un periodo di calma, un altro è viverlo mentre scende. Ed è proprio qui che il ruolo del consulente diventa essenziale. Non solo per spiegare cosa sta accadendo, ma per aiutare a valutare con lucidità ciò che non è visibile a occhio nudo: la probabilità, storicamente altissima, che dopo una fase di drawdown arrivi una fase di recupero.
L’inverno, in fondo, non è un nemico. È una fase naturale, che fa parte dell’equilibrio più grande.
I mercati non sono diversi, alternano espansione e contrazione, entusiasmo e prudenza, rialzi e ribassi. Come investitori, il compito non è prevedere quando inizierà la primavera, ma attraversare l’inverno senza perdere la bussola. Significa accettare che il freddo può essere fastidioso ma non permanente, che la volatilità è il prezzo da pagare per ottenere un rendimento nel lungo periodo, e che la solidità di un percorso finanziario non si misura nei mesi difficili, ma nella capacità di superarli.
Chi sa attraversare l’inverno, poi riconosce meglio il valore della primavera. E sui mercati, proprio come nella vita, la storia ci mostra che la primavera arriva sempre. Basta saperla aspettare con pazienza, consapevolezza e un piano costruito per stare in piedi anche quando il vento soffia più forte.


