In Italia, la gestione fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze rappresenta un tema centrale per gli investitori finanziari. Questi concetti, che indicano rispettivamente un guadagno (capital gain) o una perdita realizzata sulla vendita di un titolo o altro strumento finanziario, sono soggetti a specifiche normative fiscali che possono influenzare significativamente le decisioni di investimento.
Per capire meglio di cosa si tratta facciamo qualche esempio.
Supponiamo che un investitore acquisti 100 azioni di una società quotata in borsa, denominata “Alfa, al prezzo di 50 euro per azione, spendendo quindi un totale di 5.000 euro. Dopo un anno, grazie a performance aziendali positive e un mercato favorevole, il prezzo delle azioni di “Alfa sale a 70 euro per azione. L’investitore decide di vendere tutte le sue 100 azioni a questo nuovo prezzo, ricevendo quindi 7.000 euro dalla vendita.
La differenza tra il prezzo di vendita (7.000 euro) e il prezzo di acquisto (5.000 euro) è una plusvalenza di 2.000 euro. Questa plusvalenza è il guadagno realizzato dall’investitore e, a seconda della legislazione fiscale del suo paese, potrebbe essere soggetta a tassazione.
Utilizziamo lo stesso scenario iniziale, ma con un esito diverso. Supponiamo che, a causa di performance aziendali negative o un calo generale del mercato, il prezzo delle azioni di “Alfa” scenda a 30 euro per azione dopo un anno. Se l’investitore decide di vendere a questo prezzo per limitare ulteriori perdite, otterrà 3.000 euro dalla vendita delle sue 100 azioni.
In questo caso, la differenza tra il prezzo di acquisto (5.000 euro) e il prezzo di vendita (3.000 euro) è una minusvalenza di 2.000 euro. Questa perdita finanziaria può essere utilizzata per compensare future plusvalenze in anni fiscali successivi, a seconda delle regole di compensazione fiscale vigenti.
Le plusvalenze vengono tassate subito mentre le minusvalenze possono essere portate in avanti per compensare plusvalenze future per un periodo di quattro anni.
Questo significa che se un investitore realizza una perdita in un determinato anno fiscale, può utilizzarla per ridurre il carico fiscale derivante da eventuali guadagni nei successivi quattro anni.
Questa opzione di carryover è particolarmente vantaggiosa per gli investitori che possono utilizzare a piacimento la compensazione dei propri investimenti.
In Italia, la compensazione tra plusvalenze e minusvalenze segue regole specifiche che determinano come e quando queste possono essere applicate per ottimizzare la situazione fiscale dell’investitore.
Come avviene la compensazione?
Su strumenti finanziari della stessa categoria: Le minusvalenze possono essere compensate con plusvalenze generate dalla vendita di strumenti finanziari della stessa categoria. Ad esempio, minusvalenze derivanti dalla vendita di azioni possono compensare plusvalenze provenienti da altre azioni, ma non necessariamente da obbligazioni o fondi.
In un determinato periodo temporale: Le minusvalenze possono essere portate avanti per compensare plusvalenze in dichiarazioni fiscali future per un massimo di quattro anni. Ciò permette all’investitore di utilizzare una perdita subita in un determinato anno fiscale per ridurre il carico fiscale derivante da guadagni realizzati nei successivi quattro anni. Dopo il quarto anno le minusvalenze non utilizzate scadono e quindi si perde la possibilità di poterle utilizzare.
Preciso che le minusvalenze sono personali, seguono il codice fiscale e non possono essere compensate tra soggetti diversi. Inoltre se si decide di cambiare Istituto le minusvalenze non vengono perse ma si può chiedere al vecchio Istituto, una volta chiuso il dossier titoli, la Certificazione delle Minusvalenze ovvero una dichiarazione che la Banca rilascia e che certifica le minusvalenze presenti. Questa dichiarazione può essere data al nuovo Istituto che caricherà le minusvalenze sulla propria posizione fiscale.
Su prodotti derivati e altri Strumenti complessi: Ci sono particolari norme che riguardano la compensazione di perdite derivanti da strumenti finanziari complessi, come derivati o prodotti strutturati. In questi casi, le regole possono differire e richiedono attenzione specifica per garantire la corretta applicazione delle norme fiscali.
Gli investimenti finanziari possono essere gestiti attraverso due principali regimi fiscali: il regime amministrato e il regime dichiarativo.
Entrambi hanno implicazioni diverse per quanto riguarda la gestione delle tasse sugli investimenti.
Nel regime amministrato, è la banca o la società di intermediazione finanziaria (SIM) che detiene gli investimenti a occuparsi della gestione fiscale. Essi agiscono come sostituti d’imposta, calcolando e versando le tasse direttamente all’erario per conto dell’investitore. L’investitore non deve preoccuparsi di calcolare o versare le tasse sui guadagni d’investimento, poiché questo compito è assunto dalla banca o dalla SIM.
Nel regime dichiarativo, l’investitore gestisce personalmente la dichiarazione e il pagamento delle tasse sui suoi investimenti finanziari. L’investitore è direttamente responsabile del calcolo delle imposte dovute su interessi, dividendi e capital gain. Questo regime offre maggiore flessibilità e controllo sulla gestione fiscale, poiché l’investitore può sfruttare eventuali detrazioni e crediti fiscali disponibili andando a compensare anche minusvalenze generate in una banca e plusvalenze generare in un altra banca.
Ma a quanto ammontano le imposte?
Per quanto riguarda i titoli di stato italiani, come i BOT o i BTP, le plusvalenze sono soggette a una tassazione del 12,5%. Questa aliquota ridotta riflette la volontà di incentivare gli investimenti in strumenti considerati sicuri e a basso rischio. Per gli altri strumenti finanziari, inclusi azioni, obbligazioni societarie e fondi comuni di investimento, l’aliquota applicabile sulle plusvalenze è generalmente del 26%. Questa distinzione mira a bilanciare il carico fiscale in relazione al profilo di rischio degli investimenti.
Un aspetto interessante del sistema fiscale italiano è l’introduzione dell’aliquota sintetica tendenzialmente utilizzata per la tassazione dei fondi comuni di investimento.
L’aliquota sintetica si propone di aggregare in un unico valore percentuale le diverse imposte che possono incidere sui rendimenti di un fondo, come le tasse sui capital gain, gli introiti da dividendi, e gli interessi relativamente anche a diversi strumenti finanziari presenti all’interno del fondo.
Ipotizziamo che un fondo obbligazionario abbia al suo interno in egual misura una componente di obbligazioni corporate e di titoli di stato. Le plusvalenze delle prime saranno tassate al 26% mentre le plusvalenze dei secondi al 12,5%. L’Aliquota sintetica è, in modo semplicistico, una media tra le due.
La comprensione quindi delle aliquote fiscali e delle regole per la compensazione delle minusvalenze è essenziale per ottimizzare le strategie di investimento e minimizzare il carico fiscale. Con un ambiente normativo che favorisce l’investimento a lungo termine e la diversificazione, gli investitori italiani possono gestire efficacemente il rischio e cogliere opportunità di crescita nel mercato finanziario.